Il dolore femoro-rotuleo 2° parte

Il dolore femoro-rotuleo 2° parte

Il dolore femoro-rotuleo
2° parte

 

Come ci dovrebbe comportare in caso di dolore femoro-rotuleo?

 

La modalità di intervento varia a seconda della fase in cui ci troviamo e a seconda di quelli che sono i fattori biomeccanici predisponenti:

  • fase iniziale, o fase acuta (primi 5-10 giorni):
    1. riposo, riducendo il più possibile le attività che provocano il dolore;
    2. in caso di dolore molto forte, chiedere al proprio medico la tipologia e il corretto dosaggio di farmaci antinfiammatori e/o antidolorifici;
    3. consultare un fisioterapista, il quale, dopo un’accurata anamnesi e valutazione clinica, personalizzerà il trattamento in base alle aspettative e alle necessità del paziente;
    4. esercizi terapeutici da seduto o da disteso, che diminuiscono il sovraccarico a livello dei tessuti infortunati e al tempo stesso permettono di mantenere attiva la muscolatura di tutta la gamba;
  • fase intermedia, o fase sub-acuta (dopo aver ottenuto una buona diminuzione del dolore):
    1. aumento graduale del carico;
    2. ridurre il tempo e/o l’intensità degli esercizi, qualora il dolore dovesse aumentare per più di 24 ore dopo l’allenamento;
    3. iniziare gli esercizi terapeutici in piedi, che possano simulare quelli che sono le necessità sport specifiche e della vita quotidiana, supervisionati dal fisioterapista e dal preparatore atletico;
  • correzione dei fattori biomeccanici predisponenti:
    1. esercizi per migliorare il controllo del busto e del bacino, cosiddetti di “core stability”;
    2. esercizi per migliorare la debolezza e la funzionalità alterata dei muscoli dell’anca e della coscia (rinforzo dei glutei e del quadricipite);
    3. potrebbero anche essere necessari esercizi per migliorare la qualità dell’appoggio del piede e, in alcuni casi, l’utilizzo dei plantari.

 

Queste mostrate solo alcune delle innumerevoli proposte di esercizi terapeutici; ogni esercizio va scelto e dosato accuratamente dopo un’attenta valutazione del quadro sintomatologico e della forza muscolare:

 

A tutto ciò bisognerà sempre affiancare esercizi di stretching (in primis per i polpacci, per i muscoli posteriori della coscia e per i muscoli laterali dell’anca) e delle sedute di terapia manuale per migliorare:

  • l’intensità del dolore;
  • la mobilità della colonna vertebrale e del bacino;
  • la mobilità dell’anca, del ginocchio (compresa la rotula) e della caviglia;
  • la flessibilità delle catene muscolari più accorciate.

 

Cosa ci suggerisce la ricerca scienifica? 

I tutori e i bendaggi funzionali, compreso il Kinesio Taping®,  possono aiutare a ridurre e a controllare il dolore, soprattutto nelle fasi iniziali e in vista di impegni sportivi; sarà compito del fisioterapista valutare, applicare e, in caso, insegnare all’atleta (e/o all’allenatore o a qualsiasi altro membro dello staff) la tecnica più indicata.

 

Come detto nel paragrafo precedente, non esiste un protocollo univoco di esercizi da
seguire, poiché i fattori biomeccanici predisponenti sono molteplici; è però importante tenere presente, per diminuire il sovraccarico a livello dell’articolazione femoro-rotulea durante gli esercizi rinforzo del quadricipite, quanto dimostrato da un’equipe di ricercatori americani:

  • meglio eseguire la leg extension da 90° a 45° di flessione del ginocchio;
  • meglio eseguire lo squat, o gli affondi, da 45° di flessione a completa estensione delle ginocchia (il cosiddetto “mezzo squat”).

 

Ultimi consigli, i più importanti…

Pazienza, costanza e determinazione! Tornare a praticare sport può richiedere diverse settimane, in base alla durata e alla natura dei sintomi, alle limitazioni funzionali, alla forza muscolare e all’aderenza al programma di esercizi; ridurre i tempi di recupero, o non partecipare attivamente alla riabilitazione, sono fattori spesso associati a ricadute.

 

Anche nel trattamento del dolore femoro-rotuleo, la parola chiave è gestione dei carichi (vedi immagine a lato), perciò affidatevi sempre a professionisti esperti ed adeguatamente formati che comunichino costantemente tra loro e con il coach.

By Pier Damiano Bertini

Leggimi

Il dolore femoro-rotuleo

Il dolore femoro-rotuleo

Il dolore femoro-rotuleo

 

Il dolore femoro-rotuleo, conosciuto anche come “runner’s knee” per la sua alta frequenza nei runners, è caratterizzato da un dolore diffuso nella parte anteriore del ginocchio (intorno, dietro o sotto la rotula), che esordisce gradualmente e in maniera insidiosa anche durante le semplici attività quotidiane come camminare e salire/scendere le scale; può essere aggravato da salti, squat, corsa e dal mantenimento prolungato della posizione seduta.

Non è necessariamente associato una lesione a carico di una o più strutture anteriori del ginocchio; recenti studi clinici hanno dimostrato che esistono soggetti con dolore femoro-rotuleo in assenza di infiammazione e con perfetta conservazione di tendini, legamenti e cartilagine.

 

 Quali possono essere le cause del dolore femoro-rotuleo? Molteplici e spesso associate tra loro.

Partiamo dai cosiddetti fattori intrinseci, che sono puramente fattori biomeccanici:

  • un’alterazione della conformazione ossea del femore, sia a livello dell’anca
    che del ginocchio;
  • un alterato scorrimento della rotula;
  • una variazione del movimento di tutta la gamba, dall’anca al piede, durante la fase di appoggio monopodalico;
  • una debolezza dei muscoli stabilizzatori del tronco e del bacino;
  • una debolezza dei muscoli stabilizzatori dell’anca;
  • una debolezza del quadricipite;
  • un’eccessiva rigidità dei muscoli flessori del ginocchio e/o dei polpacci e/o del quadricipite;
  • una ridotta o eccessiva mobilità della caviglia;
  • un aumento della pronazione dinamica del piede;
  • nel caso specifico dei runners, si è visto che una tecnica di corsa errata (appoggio di tallone, passi eccessivamente lunghi, bassa frequenza d’appoggio, inclinazione del busto all’indietro) contribuisce allo sviluppo del dolore femoro-rotuleo.

Parlando invece dei fattori estrinseci, che non si riferiscono cioè al nostro organismo, dobbiamo considerare:

  • improvvise variazioni del carico di allenamento, in termini di frequenza e/o intensità;
  • un’eccessiva attività fisica e l’assenza, o l’eccessiva brevità, dei periodi di riposo;
  • variazioni dei terreni d’allenamento;
  • scarpe nuove e/o inadeguate;
  • ansia eccessiva e pressioni esterne in periodi particolari (come ad esempio partite o eventi sportivi importanti molto vicini tra loro).

 

Qual è il miglior trattamento? Il trattamento multi-modale.

Ad oggi le più recenti evidenze scientifiche ci suggeriscono che non è sufficiente una sola strategia di intervento per risolvere il dolore femoro-rotuleo, ma è la combinazione di tutte le opzioni sotto elencate che permette una gestione ottimale di tale problematica:

  • attenersi con costanza e scrupolosamente ad un programma di esercizi terapeutici;
  • sottoporsi a sedute di fisioterapia manuale passiva;
  • applicazione di bendaggi funzionali;
  • eventuale utilizzo di tutori per il ginocchio e/o plantari;
  • antinfiammatori e antidolorifici (sotto prescrizione medica), o infiltrazioni, e ghiaccio nella fase acuta.

 

Aspettateci fino a venerdì per conoscere quali sono le strategie più efficaci!
Stay Tuned

By Pier Damiano Bertini

Leggimi

Tendinopatia Achillea, come trattarla

Tendinopatia Achillea, come trattarla

Trattamenti Tendinopatia Achillea

Come ci dovrebbe comportare in caso di tendinopatia achillea?

Dividiamo il lavoro in fasi:

  • fase iniziale, o fase acuta (primi 5-10 giorni):
    1. riposo, riducendo il più possibile le attività che provocano il dolore;
    2. utilizzare calzature con un rialzo sotto al tallone;
    3. in caso di dolore molto forte, chiedere al proprio medico la tipologia e il corretto dosaggio di farmaci antinfiammatori e antidolorifici;
    4. consultare un fisioterapista, il quale, dopo un accurata anamnesi e valutazione clinica, personalizzerà il trattamento in base alle aspettative e alle necessità del paziente;
  • fase intermedia, o fase sub-acuta (2-6 settimane, dopo aver ottenuto una buona diminuzione del dolore):
    1. esercizio terapeutico personalizzato, supervisionato dal fisioterapista e dal preparatore atletico;
    2. aumento graduale del carico (es. + 10% ogni settimana);
    3. ridurre il tempo e/o l’intensità degli esercizi, qualora il dolore dovesse aumentare per più di 24 ore dopo l’allenamento;
    4. utilizzo di bendaggi funzionali per proteggere il tendine dal sovraccarico durante l’allenamento.

 

Cosa ci suggerisce la ricerca scienifica?

 Un’equipe australiana, la più importante al mondo nel campo delle tendinopatie, ha elaborato negli utlimi 2 anni un approccio a dir poco “esplosivo”, parafrasando il nome conferitogli da loro stessi: TNT, ossia Tendon Neuroplastic Training, che tradotto in italiano suonerebbe più o meno come “allenamento neuroplastico del tendine”.

In cosa consiste questo protocollo?

Il TNT unisce il concetto classico di rinforzo della muscolatura, attraverso esercizi isometrici ed esercizi concentrici-eccentrici lenti ad alto carico (HSRT, Heavy Slow Resistance Training), a quello di miglioramento del controllo motorio, ossia della capacità da parte del nostro cervello di controllare quei muscoli, utilizzando un metronomo per dare il giusto ritmo all’esercizio.

 

Un esempio?

 Ecco uno dei possibili modelli da seguire nella gestione di una tendinopatia, sia essa acuta o cronica, ricordandovi che il “fai da te” in questi casi è vivamente sconsigliato e che è sempre buona norma farsi seguire da un fisioterapista e da un preparatore atletico, in modo tale da integrare questo lavoro specifico con esercizi per altri distretti del corpo:

 

  • 3 volte a settimana per 12 settimane;
  • 3 esercizi, come mostrato nella figura;
  • 3 secondi andata, 3 secondi ritorno;
  • 5 minuti di recupero tra un esercizio e l’altro;
  • 3 serie da 15 RM* nella settimana 1;
  • 3 serie da 12 RM nelle settimane 2-3;
  • 4 serie da 10 RM nelle settimane 4-5;
  • 4 serie da 8 RM nelle settimane 6-8;
  • 4 serie da 6 RM nelle settimane 9-12;
  • 2-3 minuti di riposo tra una serie e l’altra.

* Affidarsi al preparatore atletico per la comprensione di questo dettaglio.

 

Ultimi consigli, i più importanti…

I vari protocolli esistenti in letteratura scientifica, dei quali fa parte questo appena menzionato, non escludono obbligatoriamente l’astensione dagli allenamenti, perchè, fatta eccezione per la fase acuta, è importante che l’atleta resti sempre a contatto con la squadra e con lo sport praticato; è pur vero, però, che è importante ridurre il numero e l’intensità degli allenamenti, almeno nelle prime 4-6 settimane.

Pazienza, costanza e determinazione! Tornare a praticare sport può richiedere da 1 mese a 6 mesi o più, in base alla durata e alla natura dei sintomi, alle limitazioni funzionali, alla forza muscolare e all’aderenza al programma di esercizi; ridurre i tempi di recupero, o incrementare i carichi troppo velocemente, sono fattori spesso associati a ricadute.

Nel trattamento della tendinopatia Achillea, così come in quello di tutte le tendinopatie, la parola chiave è gestione dei carichi, perciò affidatevi sempre a professionisti esperti ed adeguatamente formati che comunichino costantemente tra loro e con il coach.

By Pier Damiano Bertini 

Leggimi

Tendinopatia Achillea

Tendinopatia Achillea


TENDINOPATIA ACHILLEA

 La tendinopatia achillea è caratterizzata da dolore a livello del tendine d’Achille, che può insorgere  alla pressione, durante le attività della vita quotidiana (camminare, salire e scendere le scale) e durante l’attività sportiva (correre, saltare, cambi di direzione).

Nella maggiorparte dei casi non vi è associata infiammazione, ma solo degenerazione del tessuto. Può essere classificata a seconda della sua localizzazione in inserzionale (a livello della giunzione tra tendine e calcagno) e non inserzionale, o del terzo medio, (a livello della parte centrale del tendine).

Nonostante il tendine d’Achille sia il più spesso e uno dei più resistenti di tutto il nostro corpo, è una di quelle strutture che tendono a soffrire di più in chi pratica sport, considerando anche che è soggetto a carichi che arrivano fino a circa 12 volte il peso corporeo.

 

Quali possono essere le cause della tendinopatia achillea? Molteplici.

Abbiamo dei fattori di rischio “intrinseci”, che sono quelli che fanno riferimento al nostro organismo, suddivisibili in:

  • modificabili, ossia che possono essere corretti, come peso elevato, alto indice di massa corporea (BMI), obesità, diabete, colesterolo alto, scarse forza e/o resistenza muscolare, mobilità della caviglia eccessiva o limitata, piede in eccessiva pronazione, piede cavo;
  • non modificabili, di cui dobbiamo prendere atto per gestire al meglio la problematica, come l’età, il sesso (nei maschi è più frequente che nelle femmine), l’assunzione di farmaci come il cortisone o gli antibiotici, precedenti tendinopatie achillee o infortuni recenti a carico di qualsiasi distretto del quadrante inferiore (schiena, anca, ginocchio, caviglia, piede).

Vi sono poi i fattori di rischio “estrinseci”, quelli cioè che si riferiscono all’ambiente che ci circonda e al nostro stile di vita:

  • cambiamenti nel carico di lavoro (pre-stagione, allenamenti molto intensi, elevato numero di partite consecutive, rientro in campo dopo un periodo di inattività prolungata,…)
  • livello di attività (lavori sedentari, lavori ripetitivi,…)
  • calzature inadeguate
  • errori nell’allenamento
  • terreno d’allenamento irregolare

Da tenere in considerazione sono poi anche i fattori relativi al nostro aspetto psico-sociale, che possono contribuire all’aumento di probabilità di sviluppare questa patologia, come lo scarso o non regolare riposo notturno, lo stress, l’ansia o la depressione.

 

Qual è il miglior trattamento?

Ad oggi l’esercizio terapeutico continua ad essere il trattamento basato su più prove d’efficacia scientifica, soprattutto negli atleti; terapie fisiche (onde d’urto, laser, ultrasuoni) e mediche (antinfiammatori, antidolorifici, infiltrazioni) non sono migliori dell’esercizio per la gestione della problematica nel medio e lungo termine, ma possono aiutare a controllare il dolore nelle fasi iniziali (breve termine). La chirurgia è indicata in caso di rottura completa del tendine o in rari casi che non migliorano dopo 12 settimane di fisioterapia.

Quindi cosa possiamo fare? quali sono i trattamenti più indicati?

Lo scoprirete nel prossimo articolo!! #StayTuned!!

Leggimi

Pier Damiano Bertini #ClubUp!

Pier Damiano Bertini #ClubUp!

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Sono un fisioterapista, laureato presso l’Università degli Studi di Perugia; specializzato in Fisioterapia Sportiva attraverso corsi post-laurea accreditati IFSPT (International Federation of Sports Physical Therapy) ed iscritto al Master in Fisioterapia Applicata allo Sport presso l’Università di Siena, l’unico in Italia riconosciuto dalla federazione internazionale.

Lavoro come libero professionista nel mio ambulatorio a Macerata e collaboro anche come fisioterapista presso la ASD Montalbano Volley e L’Helvia Recina Volley, nelle quali seguo le prime squadre iscritte ai campionati, rispettivamente, di serie B maschile e di serie B2 femminile.

I miei contatti:

Email: fisiobertini@gmail.com

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Pier Damiano Bertini per ClubUp!

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